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È un elemento chimico che in natura si può trovare sotto forma di grafite (presente nella matita da disegno) o di diamante. Unito all’ossigeno forma il biossido di carbonio (comunemente noto come anidride carbonica), assolutamente vitale per la crescita delle piante; unito all’idrogeno forma vari composti, chiamati idrocarburi, come il petrolio o il gas metano.
In politica, associazione tra persone accomunate da una medesima finalità politica ovvero da una comune visione su questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società.
Trattamento termico a temperatura inferiore all’ebollizione che si utilizza per distruggere i germi patogeni contenuti negli alimenti liquidi (per esempio, il latte).
Letteralmente indica coloro che possiedono come unico bene la propria prole, ossia i figli. Con la Rivoluzione industriale il termine è venuto a indicare anche coloro che non possiedono altro se non la forza delle proprie braccia, venduta in cambio di un salario.
Settore industriale che si occupa del trattamento di materiali ad alto contenuto di ferro per ottenere il ferro o diverse leghe di ferro, tra le quali l’acciaio o la ghisa.
Fino al XVIII secolo il settore tessile inglese era costituito da mercanti-manifatturieri che si servivano di lavoratori a domicilio per la produzione dei tessuti di lana.
A partire dalla seconda metà del Settecento, in Gran Bretagna si era realizzato un mutamento dell’assetto economico di enorme importanza, poi diffusosi sul continente europeo e negli Stati Uniti.
Tale mutamento era derivato dall’espansione dell’industria, accompagnata dall’affermazione del sistema di fabbrica.
Questo cambiamento, definito con il termine di prima Rivoluzione industriale, era stato caratterizzato dalla nascita di industrie di piccola e media grandezza, specializzate nella lavorazione del cotone e del ferro, che si servivano prevalentemente dell’energia del vapore.
Fino al 1850 le principali novità in ambito industriale erano scaturite in larga misura dallo spirito di iniziativa e dalle conoscenze pratiche accumulate nei vari settori, piuttosto che determinate dalla ricerca scientifica vera e propria. Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, venne delineandosi una seconda Rivoluzione industriale, di cui la Germania e gli Stati Uniti furono i Paesi leader, caratterizzata da un rapporto sempre più stretto con la ricerca scientifica (che portò all’espansione dei settori dell’acciaio, della chimica e dell’elettricità), dalla diffusione della grande impresa e della produzione standardizzata su larga scala, e dalla formazione di masse operaie organizzate in sindacati.
Le nuove conoscenze acquisite sulla composizione di vari materiali svolsero un ruolo decisivo per il decollo della produzione dell’acciaio. L’acciaio è una variante del ferro, un prodotto intermedio tra la ghisa, a elevato contenuto di carbonio, e il ferro, che ne contiene pochissimo. Prodotto fin dall’antichità, in età moderna era ancora realizzato in quantità scarse e a costi elevati. Per questo, sebbene fosse preferibile al ferro e alla ghisa in quanto più resistente, robusto e flessibile, il suo utilizzo restava limitato a pochi settori, come la produzione di molle di orologi e di strumenti chirurgici. Il ferro aveva quindi dominato la prima ondata di industrializzazione, nonostante i tanti inconvenienti, dovuti all’usura e alla rottura di macchine e materiali, che il suo impiego comportava.
Nella seconda metà del XIX secolo il problema di produrre acciaio a basso costo venne finalmente risolto grazie all’invenzione di particolari forni che permettevano di regolare la quantità di carbonio nella ghisa fusa o di mescolare ferro e ghisa.
Fu grazie a questo nuovo sistema di produzione dell’acciaio che ebbe un enorme sviluppo il settore siderurgico.
L’acciaio veniva (e viene tutt’oggi) impiegato nei settori più disparati, fra cui quello della costruzione degli scafi delle navi (prima di legno o di ferro) – di cui fu possibile aumentare la dimensione e conseguentemente il carico trasportabile in un singolo viaggio – e quello dell’edilizia, sotto forma di cemento armato (barre di acciaio “annegate” in una miscela di cemento, acqua e sabbia).
All’inizio del secolo, lo scienziato italiano Alessandro Volta aveva dimostrato che si potevano ottenere effetti elettrici da fenomeni chimici: aveva messo infatti a contatto metalli diversi, intercalati da strati di feltro imbevuto di acqua salata, e collegato i due poli con un metallo conduttore: il risultato era stato il primo generatore di elettricità della storia, la pila.
Successivamente, altri scienziati erano giunti – attraverso numerosi esperimenti – a comprendere che l’elettricità e il magnetismo sono manifestazioni diverse di un medesimo fenomeno, il campo elettromagnetico. Per esempio l’inglese Michael Faraday scoprì che muovendo un magnete lungo un cappio di filo di metallo, nel filo fluiva corrente elettrica. Nel 1831 Faraday utilizzò tale principio per costruire la dinamo, l’antenato dei moderni generatori di corrente.
Il primo impiego dell’elettricità si ebbe nel campo delle comunicazioni. Nel 1832 lo statunitense Samuel Morse sfruttò il passaggio di elettricità in un filo conduttore come congegno per comunicare: era nato il telegrafo elettrico. Quando, dopo circa trent’anni, fu utilizzato su vasta scala, il telegrafo facilitò le comunicazioni militari e divenne uno strumento fondamentale di coordinamento per i mercati finanziari e commerciali. Ma fu nel 1895 che l’italiano Guglielmo Marconi realizzò la prima trasmissione a distanza tramite le onde radio (onde elettromagnetiche) e nel 1901 la prima trasmissione del telegrafo senza fili attraverso l’Atlantico. Da tali principi ebbe in seguito origine la radio, le cui prime trasmissioni regolari avvennero nel 1922.
Nel frattempo, in un susseguirsi di scoperte e applicazioni, negli anni Settanta videro la luce alcune importanti invenzioni: il telefono dell’italiano Antonio Meucci (brevettato dallo statunitense Alexander Graham Bell), il fonografo (uno dei primissimi strumenti concepiti per poter registrare e riprodurre il suono) dello statunitense Thomas Alva Edison e la lampadina a incandescenza, che lo stesso Edison migliorò e commercializzò.
Infine, negli anni Ottanta, si costruirono le prime centrali elettriche: una volta risolta la questione della sua distribuzione, con la creazione delle reti elettriche, l’energia elettrica avrebbe rivoluzionato ogni aspetto della vita quotidiana, a partire dall’illuminazione delle città e delle case.
Il sempre più stretto rapporto che andava instaurandosi tra ricerca scientifica e innovazioni tecniche è particolarmente evidente nel caso della chimica industriale, un settore in cui la Germania ebbe un ruolo di primissimo piano. La prima invenzione si deve però a un inglese, William Perkin, che nel 1856 (a soli 18 anni) avviò l’industria dei coloranti artificiali, scoprendo casualmente l’anilina (un colorante simile alla porpora) durante una ricerca in laboratorio. E dal momento che la regina Vittoria stava incoraggiando la diffusione delle stoffe colorate, Perkin si mise a studiare il modo di produrre il colorante a un prezzo inferiore rispetto ai coloranti naturali. Da questa applicazione seguì poi la produzione di altri coloranti artificiali (per esempio l’indaco sintetico) a opera di scienziati tedeschi.
Il ruolo chiave della ricerca scientifica risultò ancora più evidente nella produzione di anticrittogamici, fondamentali per sconfiggere alcune malattie delle piante, e di fertilizzanti sintetici, essenziali per la modernizzazione dell’agricoltura europea.
L’aumento dei rendimenti in agricoltura diede anche impulso alle tecniche di conservazione e confezionamento dei cibi: la cottura e la chiusura sottovuoto in contenitori di vetro per combattere le muffe e la putredine esistevano già da fine Settecento, senza però che vi fosse ancora alcuna ipotesi scientifica sul perché il metodo funzionasse. Nella seconda metà del XIX secolo, invece, fu inventata la disidratazione dei cibi (in particolare uova e minestre).
Nel settore caseario le innovazioni riguardarono la sterilizzazione del latte e la produzione di latte condensato, una forma di latte reso conservabile grazie all’eliminazione dei batteri e alla sottrazione di umidità. A sua volta, il chimico tedesco Justus von Liebig fondò nel 1865 la compagnia Liebig per produrre l’estratto di carne (il cosiddetto “dado”) di sua invenzione, come alternativa economica e nutriente alla carne. Infine la conservazione degli alimenti tramite raffreddamento favorì la diffusione della carne sulle tavole europee.
Intanto a Torino Francesco Cirio aveva iniziato a confezionare in scatola vari tipi di verdura, utilizzate anche dai soldati piemontesi impegnati nella guerra di Crimea.
Al chimico e biologo francese Louis Pasteur si deve invece il procedimento della pastorizzazione di alcuni alimenti liquidi (vino, birra, latte) per ridurre al minimo i rischi per la salute, dovuti alla presenza di microrganismi portatori di malattie. Inoltre egli si occupò di limitare il rischio di infezioni e di mortalità a seguito di interventi chirurgici. Attraverso le sue osservazioni e le sue ricerche sui microbi, Pasteur si rese conto che le mani e gli strumenti dei chirurghi potevano essere il ricettacolo dei germi, se non si fossero prese accurate precauzioni per eliminare quel pericolo. Era quindi fondamentale la pulizia assoluta degli strumenti, delle mani e di tutto ciò che avrebbe avuto un contatto con il ferito. Già alla fine degli anni Quaranta, il medico ungherese Ignaz Semmelweis, mentre lavorava all’ospedale, era stato colpito dal fatto che, fra le tante donne che morivano per infezione a seguito del parto, erano molte di più quelle che erano state assistite dai medici rispetto a quelle assistite dalle sole ostetriche. Semmelweis aveva intuito che ciò potesse dipendere dal fatto che i medici giungevano alle sale parto dalle sale dove si dissezionavano i cadaveri senza essersi lavati le mani; pertanto aveva proposto questa semplice accortezza prima di entrare in sala parto. Purtroppo allora non fu creduto, anzi, venne accusato di ciarlataneria e le morti continuarono a essere numerose. La dimostrazione della contaminazione batterica fu sancita da Pasteur solo nel 1864.
Le trasformazioni dell’assetto sociale prodotte dall’industrializzazione portarono all’affermazione dell’alta borghesia, ossia della classe degli imprenditori industriali, dei banchieri e dei grandi commercianti, dei direttori delle grandi compagnie ferroviarie e marittime, degli alti funzionari statali, che scalzarono mano a mano il predominio della nobiltà fondiaria e i suoi modelli culturali. Si affermarono i valori del talento individuale e dell’operosità, intesa non come impegno nel lavoro manuale, ma come capacità di creare ricchezza nelle attività imprenditoriali e commerciali, grazie al rischio di impresa e a una condotta di vita imperniata sulla famiglia, sulla rispettabilità e sull’impegno in attività produttive. Tra l’alta borghesia e le classi subordinate di operai e di lavoratori agricoli vi era una classe media, costituita dalla schiera dei piccoli e medi imprenditori e da un numero sempre crescente di impiegati nei servizi del settore sia pubblico sia privato (burocrazia statale, banche, assicurazioni, compagnie commerciali), oltre che di insegnanti.
La stragrande maggioranza dei lavoratori era però formata, nelle campagne, dai contadini e, nelle aree industrializzate, dagli operai, che andarono a formare la cosiddetta classe operaia. Nella prima metà dell’Ottocento, in Gran Bretagna, erano nate le prime organizzazioni dei lavoratori specializzati: le Trade Unions. Da queste associazioni di mestiere, nella seconda metà dell’Ottocento presero le mosse, sempre in Inghilterra, i primi sindacati: organizzazioni di lavoratori costituite per tutelare gli interessi della categoria che rappresentavano.
Le organizzazioni sindacali, attraverso la contrattazione con gli imprenditori, avevano quale loro obiettivo il miglioramento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni. Analoghe associazioni sorsero, ben presto, anche in Germania e negli Stati Uniti, soprattutto per i lavoratori specializzati, mentre quelli generici rimasero sostanzialmente privi di rappresentanza sin verso la fine del secolo.
Nel sistema economico che si era venuto a creare, in cui i beni capitali investiti nelle industrie erano di proprietà di privati individui appartenenti alla grande borghesia (da cui il termine capitalismo a indicare tale sistema), le due classi sociali, borghese e operaia, apparivano evidentemente contrapposte. In questo contesto, i filosofi tedeschi Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) pubblicarono nel 1848 il Manifesto del Partito comunista, nel quale i due autori affermavano che la diffusione dell’industria a livello mondiale aveva portato alla suddivisione della società in classi e ridotto i lavoratori, il proletariato, a merce. Essi erano infatti come “macchine”, ingranaggi della produzione: la divisione del lavoro aumentava sì la produttività ma, meccanizzando il processo, finiva per spersonalizzare l’attività lavorativa. La singola operazione compiuta dall’operaio comportava un drammatico impoverimento della sua creatività, anche perché egli non poteva apprezzare il proprio lavoro nel prodotto finito, di cui conosceva solo una minima parte. Inoltre, la proprietà privata dei mezzi di produzione faceva sì che la ricchezza prodotta fosse nelle mani di una sola classe, la borghesia capitalistica appunto, che si arricchiva attraverso lo sfruttamento della classe operaia. Era inevitabile dunque, secondo Marx ed Engels, il conflitto tra le due classi: esso avrebbe portato la classe operaia alla rivoluzione e quindi alla conquista del potere per una società comunista, in cui sarebbe stata abolita la proprietà privata e i mezzi di produzione sarebbero stati “in comune”, quindi di tutti. Secondo questa visione, il Partito comunista avrebbe avuto il compito di guida politica.
Nella seconda metà dell’Ottocento il pensiero di Marx (marxismo) divenne la dottrina politica ed economica dominante nella classe operaia. Fu adottato da partiti, movimenti e associazioni che miravano a riscattare il proletariato dalla propria condizione di sfruttamento, attraverso una serie di lotte politiche e sociali, che avrebbero dovuto creare le condizioni per l’avvento di una società comunista, senza classi sociali; tutti sarebbero stati liberi dal bisogno e dallo sfruttamento. Per creare le condizioni di questa radicale alternativa al mondo borghese, Marx ed Engels avevano esortato le classi operaie di tutto il mondo a unirsi e a organizzarsi in una lotta comune per abbattere il potere della borghesia. E in effetti le organizzazioni nazionali dei lavoratori riuscirono a stabilire tra loro i primi contatti, tanto che nel 1864 fu fondata ufficialmente la prima Associazione internazionale dei lavoratori, nota come Prima Internazionale.
Nella Prima Internazionale, tuttavia, convivevano tendenze assai diverse tra loro, quando non in netto contrasto.
Il contrasto più forte, ma non l’unico, fu quello tra Marx e il russo Michail Bakunin (1814-1876): il primo riteneva che all’origine dell’oppressione e dello sfruttamento vi fossero i rapporti economici e di produzione, il secondo sosteneva, invece, che l’origine delle disuguaglianze fosse nel potere oppressivo dello Stato. Mentre Marx puntava a instaurare una dittatura del proletariato, Bakunin aspirava ad abbattere lo Stato e considerava la dittatura del proletariato come espressione del potere di una nuova classe privilegiata.
Il suo obiettivo non era il comunismo ma l’anarchismo, ossia la creazione di una società in cui non vi fosse alcuna forma di potere sull’individuo.
Nel 1876, si arrivò, nella consapevolezza di posizioni politiche contrastanti, alla definitiva crisi dell’Internazionale e al suo scioglimento.
Il dibattito continuò anche dopo la morte di Marx e nel 1889 venne fondata la Seconda Internazionale dai partiti socialisti europei, tra i quali il Partito socialdemocratico tedesco assunse di fatto un ruolo guida.
La Seconda Internazionale si prefiggeva di creare le premesse affinché, in un futuro più o meno lontano, fosse possibile realizzare una rivoluzione mondiale, da cui scaturisse la formazione di una società senza classi.
Intanto, però, proponeva riforme nel campo economico e della legislazione sociale.