1. Parigi, 1789: il popolo dice "basta", è la rivoluzione
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Prestazione di opera gratuita a cui il contadino era tenuto a favore del proprio signore durante l’epoca feudale.
Tributo, corrispondente alla decima parte del reddito o del raccolto, pagato alla Chiesa.
ogni uomo in Francia apparteneva a uno stato, o ceto. Al ceto in genere si apparteneva per nascita (chi nasceva in una famiglia nobile era nobile) ma vi era anche la possibilità a certe condizioni di accedere al ceto della nobiltà. Il clero si divideva in alto clero e basso clero; chi apparteneva all’alto clero era in genere di origine nobile.
Per la maggior parte degli storici uno spartiacque tra il Medioevo e l’età moderna è il 1492: l’anno della scoperta dell’America è una “svolta storica”. Allo stesso modo, per l’inizio dell’età contemporanea molti storici hanno scelto convenzionalmente il 1789, l’anno in cui è scoppiata la Rivoluzione francese, che ha dato vita al primo Stato nazionale borghese, fondato su valori che ancor oggi sono alla base della nostra società. Altri, invece, hanno individuato l’inizio dell’età contemporanea nel 1815 con il congresso di Vienna: dopo questo evento, infatti, furono recepiti ovunque in Europa, saldamente, i valori e i cambiamenti introdotti dalla Rivoluzione francese, fra tutti la Costituzione o lo Statuto e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Si potrebbero naturalmente indicare altri eventi, come inizio della storia contemporanea, a seconda di ciò che si vuole sottolineare; per esempio la Rivoluzione industriale creò un nuovo modo di produrre, basato sul sistema industriale, che dura fino a oggi. Resta comunque il fatto che la Rivoluzione francese del 1789 segnò senza alcun dubbio lo spartiacque tra l’antico regime, fondato sul privilegio feudale e sulla monarchia assoluta, e un nuovo modo di guardare all’uomo (non più suddito ma cittadino) e alla società di cui fa parte.
Nella seconda metà del Settecento, in Francia, a differenza di quanto accadeva in Inghilterra (dove lo Stato giocava da tempo un ruolo decisivo nell’incoraggiare lo sviluppo economico del Paese), il potere assoluto del sovrano si dimostrò un elemento di debolezza.
Il problema più grave era rappresentato dalla situazione delle casse dello Stato: le spese erano superiori alle entrate a causa del lusso e degli sperperi della corte, ma soprattutto per le spese militari.
In particolare, l’ultima guerra, combattuta a sostegno della Rivoluzione americana, aveva aperto una spaventosa voragine nei bilanci dello Stato. La situazione sociale, inoltre, era tutt’altro che rosea.
La borghesia era sempre più insofferente ai privilegi di clero e nobiltà ed era sempre più decisa a far prevalere i meriti individuali. D’altro canto i gruppi sociali più numerosi e poveri si trovavano in una condizione che diveniva giorno dopo giorno più esplosiva, determinata da una parte dal pessimo raccolto cerealicolo del 1788, dall’altra da una grave crisi produttiva e di mercato, che aveva colpito soprattutto le manifatture tessili.
Fu in questo contesto che il re Luigi XVI dovette affrontare il problema drammatico della crisi della finanza statale: per evitare la bancarotta era necessario sottoporre tutti i sudditi a tassazione. Tuttavia un’iniziativa di tal genere si scontrava con la rigida struttura della società francese, che tradizionalmente si reggeva sui privilegi fiscali. Infatti il clero, il primo stato, si limitava a pagare ogni cinque anni un donativo alla Corona e la nobiltà, il secondo stato, era esente dalla maggior parte delle imposte dirette. Era dunque solo il terzo stato, che comprendeva il resto della popolazione (dai ricchi mercanti agli imprenditori, dai braccianti agli operai salariati) a sostenere quasi interamente il peso delle imposte.
Inoltre i contadini dovevano versare le decime alla Chiesa e sopportare diversi oneri di tipo feudale (le corvées, pedaggi per l’uso del mulino ecc.). I progetti di riforma dell’apparato fiscale fallirono e il re non poté fare altro che convocare gli Stati generali per la primavera del 1789.
Prima ancora che si riunissero gli Stati generali, il conflitto fra il re e i primi due ordini da un lato e i rappresentanti del terzo stato dall’altro si concentrò sulle modalità di voto nell’assemblea.
Clero e nobiltà reclamavano che si votasse come in passato: i tre stati si dovevano riunire in Camere distinte e votare per ordine, ossia ciascuno stato avrebbe avuto a disposizione un solo voto, indipendentemente dal numero di cittadini che rappresentava (votazione “per stato”). Il terzo stato, invece, volendo far valere la propria forza numerica, propose che i propri deputati fossero il doppio di quelli di ciascuna delle altre due Camere e che si votasse in un’unica assemblea, ovvero che si contasse il voto di ciascun deputato (votazione “per testa”). Questo perché anche tra la nobiltà e il clero vi erano uomini che condividevano gli ideali umanitari dell’Illuminismo, e pertanto erano favorevoli al riconoscimento politico del terzo stato. Tra i nobili vi era per esempio il marchese de La Fayette, che aveva combattuto a favore della Rivoluzione americana.
In questo clima, carico di tensioni e di aspettative, il 5 maggio 1789 si riunirono a Versailles gli Stati generali. Luigi XVI si rifiutò però di concedere il dibattito e la votazione per testa nell’ambito di un’unica assemblea, soluzione che avrebbe permesso ai deputati del terzo stato di acquisire la più larga adesione possibile alla causa delle riforme, anche presso la nobiltà e il clero. Preso atto di ciò, il 20 giugno i deputati del terzo stato si riunirono in una sala usata un tempo per la pallacorda (un gioco simile al tennis), e lì strinsero il solenne giuramento (passato alla storia come giuramento della pallacorda) di non separarsi mai fino a quando non avessero dato corpo a una Costituzione. Con questo gesto, l’asse centrale del dibattito veniva spostato dalla questione fiscale a quella dell’esercizio del potere: il diritto di esercitarlo e di stabilire le regole spettava ai rappresentanti eletti dal popolo.
Pochi giorni dopo, parte dei deputati degli altri due ordini decisero di unirsi a quelli del terzo stato. Luigi XVI si vide allora costretto a ordinare che anche i restanti deputati del clero e dei nobili confluissero in un’unica assemblea: il 9 luglio nacque l’Assemblea nazionale costituente.
I pessimi raccolti degli anni 1788-89 avevano provocato la scarsità dei generi alimentari con una conseguente impennata dei prezzi dei prodotti agricoli, specialmente dei cereali. Il pane era la base dell’alimentazione popolare e il suo rincaro aveva ridotto alla fame milioni di persone e aveva assottigliato la possibilità di acquistare altri beni. Ciò aveva causato, in particolare nelle città, un enorme danno anche all’attività manifatturiera, già messa a dura prova dalla concorrenza inglese. In primavera la situazione degenerò provocando nella capitale violenti tumulti per il pane, che ben presto si trasformarono in diffuso malcontento. Tra i parigini cominciò inoltre a circolare la notizia che il re stesse per attaccare con l’esercito l’Assemblea costituente: fu così che si decise di organizzare una milizia cittadina (poi denominata guardia nazionale) che garantisse la pace in città e difendesse i diritti costituzionali. Per armare la milizia furono saccheggiati alcuni luoghi dove si riteneva fossero custodite delle armi.
A luglio si diffuse la notizia che alla Bastiglia, la cupa fortezza-carcere, fossero conservate grandi quantità di munizioni e polvere da sparo: fu così che il 14 del mese una folla di alcune migliaia di persone chiese di ispezionare i depositi; e quando il comandante della guarnigione ordinò di far fuoco sui dimostranti, la Bastiglia venne presa d’assalto.
Il 14 luglio 1789 divenne la data-simbolo della Rivoluzione francese, destinata a diventare festa nazionale. La presa della Bastiglia segnò infatti l’ingresso in scena del popolo, il popolo parigino.
In quella situazione, Luigi XVI dovette riconoscere la nascita di un nuovo consiglio municipale a Parigi, formato dagli elettori del terzo stato, e di una milizia formata da volontari, la guardia nazionale, a capo della quale fu posto il marchese de La Fayette.
Alla guardia nazionale spettava il compito di difendere l’Assemblea costituente da un possibile complotto aristocratico e di garantire l’ordine. Nel resto della Francia, via via che la notizia della presa della Bastiglia si diffondeva, le autorità locali vennero sostituite da governi rivoluzionari.
Ridotti alla fame e alla disperazione, i contadini cominciarono a temere complotti da parte dei nobili: il timore si trasformò in un’ondata di panico collettivo (la “grande paura”) che si propagò nelle campagne francesi. La paura era suscitata dalla falsa notizia dell’arrivo di un esercito di briganti, venuti a trucidare i contadini per vendicare la nobiltà.
Intere comunità presero così le armi per difendersi e assalirono i castelli dei signori per bruciare gli archivi, in cui erano contenute le carte che sancivano i loro obblighi.
I sanguinosi episodi indussero allora l’Assemblea costituente a prendere in seria considerazione il problema della condizione dei contadini: nei primi giorni di agosto fu deciso di abolire i diritti feudali e le decime ecclesiastiche.
Qualche giorno dopo, il 26 agosto 1789, venne approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Il documento si ispirava alla Dichiarazione di indipendenza americana: accanto ai diritti naturali dell’individuo (la libertà individuale, il diritto di proprietà, la libertà di espressione) e all’uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, trovarono posto la concezione della sovranità popolare (cui è connesso il diritto di partecipare direttamente o per mezzo di rappresentanti al governo della cosa pubblica) e l’idea che solo la legge può limitare la libertà degli individui.
Il re, divenuto ormai ostaggio dei deputati e del popolo, approvò sia l’abolizione dei diritti feudali sia la Dichiarazione dei diritti, poi fu costretto a trasferire la sua residenza nel cuore di Parigi, nel palazzo reale delle Tuileries, seguito, poco dopo, dall’Assemblea costituente.