2. Dalla monarchia costituzionale alla repubblica
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I cordiglieri si riunivano nel convento dei frati cordiglieri, così chiamati dal cordiglio che cingeva loro la vita.
I nomi dei diversi club politici che contribuirono alla creazione della repubblica francese derivano dai conventi parigini in cui erano soliti riunirsi: i foglianti si ritrovano nel convento dei monaci foglianti.
I nomi dei diversi club politici che contribuirono alla creazione della repubblica francese derivano dai conventi parigini in cui erano soliti riunirsi: i giacobini si ritrovavano nel convento dei frati domenicani dedicato a San Giacomo.
Gruppo politico promosso dai deputati del dipartimento della Gironda.
Il termine viene dal francese sans-culottes, “senza calzoni corti”, e indicava quei garzoni di bottega e salariati che indossavano i pantaloni lunghi anziché le culottes corte usate dagli aristocratici e dalla borghesia. Durante la rivoluzione passò a indicare i protagonisti delle insurrezioni popolari.
I 749 deputati della Convenzione erano così divisi: alla sinistra del presidente, vi erano circa 150 montagnardi o deputati della Montagna, così chiamati per la loro collocazione nella parte più alta dell’aula: ne facevano parte Robespierre, Marat e Danton; a destra invece, stavano i girondini, che costituivano circa un quarto dell’assemblea. Al centro, infine, vi era la Pianura (o in senso più spregiativo “Palude”), lo schieramento più numeroso che sosteneva a turno i due estremi, determinando così l’esito di tutte le votazioni.
Trasferitasi a Parigi, l’Assemblea si dedicò a demolire gli ordinamenti dell’ancien régime, ossia dell’assetto politico precedente alla Rivoluzione, connotato essenzialmente da monarchia assoluta, divisione della società nei tre ordini e privilegi di natura feudale.
Il punto di arrivo sarebbe stata l’elaborazione della Costituzione del nuovo Stato. Innanzitutto, nel tentativo di evitare la bancarotta, l’Assemblea costituente confiscò l’immenso patrimonio della Chiesa e lo trasformò in beni nazionali da vendere al miglior offerente. La nazionalizzazione di questi beni costrinse però l’Assemblea a trovare una soluzione per finanziare il clero. Venne allora approvata – senza chiedere al papa un parere – la Costituzione civile del clero, che trasformò vescovi e parroci in funzionari pubblici stipendiati dallo Stato: essi infatti dovevano prestare un giuramento di fedeltà alla nazione. Prima ancora che papa Pio VI condannasse il provvedimento, circa metà della popolazione ecclesiastica si oppose (clero refrattario), trasformandosi in una Chiesa di opposizione, che creò non pochi problemi di coscienza in quei Francesi che appoggiavano la rivoluzione ma erano buoni cristiani.
Per semplificare e mettere ordine in una suddivisione territoriale caotica, venne stabilita una nuova divisione amministrativa del territorio francese: furono creati 83 dipartimenti, a ciascuno dei quali corrispondeva una diocesi retta da un vescovo; a loro volta i dipartimenti furono suddivisi in enti locali amministrati da rappresentanti eletti dalla popolazione.
Per evitare poi che le attività economiche fossero ancora condizionate dallo Stato o da corporazioni di mestiere che limitavano il numero di produttori, fu incoraggiata l’iniziativa privata, sopprimendo tutti gli ostacoli alla libertà di produzione, sia agricola sia artigianale, sia industriale.
Per quanto riguardava la questione dei criteri di rappresentanza politica, le posizioni all’interno dell’Assemblea costituente erano diverse. I deputati erano infatti divisi tra quanti ritenevano che il diritto di voto avrebbe dovuto essere esteso a tutti i cittadini maschi e quanti pensavano che il diritto di voto avrebbe dovuto essere riconosciuto solo a una parte della popolazione.
Alla fine la maggioranza dei deputati approvò l’idea di dividere i cittadini in passivi e attivi. Ai primi (salariati, servi, mendicanti) venivano riconosciuti i diritti civili come il diritto alla proprietà o alla libertà; ai secondi (tutti i maschi al di sopra dei venticinque anni che disponevano di un certo reddito) erano concessi sia i diritti civili che quelli politici. Venne così approvato un sistema elettorale basato sul censo. Infine l’Assemblea stabilì che la Francia sarebbe divenuta una monarchia costituzionale, fondata sulla separazione dei poteri.
Di fronte alle riforme varate dall’Assemblea, Luigi XVI non capì che la monarchia costituzionale che si sarebbe venuta a creare gli avrebbe comunque lasciato un ruolo di primo piano, così come nel modello britannico. Egli, invece, considerò ciò che gli si proponeva come un’offesa alla sua persona e a ciò che rappresentava. Per questo motivo, cercò segretamente contatti con le corti europee allo scopo di ottenerne l’aiuto.
Nel giugno del 1791 tentò di fuggire all’estero con tutta la famiglia reale ma, riconosciuto e arrestato a Varennes, fu ricondotto in stato di arresto a Parigi e sospeso dalle sue funzioni fino a settembre, quando giurò fedeltà alla Costituzione, che faceva di lui non più il “re di Francia” ma il “re dei Francesi” (14 settembre 1791).
Intanto in tutto il Paese erano sorte numerose associazioni e circoli (club), in cui i Francesi discutevano liberamente di politica e diffondevano il proprio pensiero anche attraverso giornali e opuscoli.
Erano emersi, tra gli altri, due gruppi:
• il club dei giacobini, di cui faceva parte l’avvocato Maximilien Robespierre (1758-1794);
• il club dei cordiglieri, tra i quali vi erano Jean-Paul Marat (1743-1793) e Georges-Jacques Danton (1759-1794).
Entrambi i club davano voce e credito soprattutto alle richieste del popolo.
Dopo il tentativo di fuga del re, i cordiglieri e i giacobini erano diventati insofferenti verso la monarchia e spingevano per la repubblica. Essi appoggiavano i sanculotti, per i quali la politica andava orientata dal basso (ossia dal popolo) verso l’alto (coloro che governano). Tra i giacobini di tendenze repubblicane, si staccarono però coloro che erano più propensi a sostenere la borghesia imprenditoriale: essi andarono a formare il gruppo dei girondini. Dai giacobini si staccò anche l’ala più moderata, dando vita al club dei foglianti, guidati da La Fayette, favorevole al mantenimento della monarchia costituzionale.
A rendere ancora più incandescente la situazione politica si aggiungevano le tensioni con gli altri Stati. Dopo l’arresto del re, i nobili emigrati avevano fatto pressione sui sovrani stranieri affinché intervenissero. E in effetti Austria e Prussia fecero una dichiarazione comune in cui affermavano che sarebbero intervenute militarmente se il re non fosse stato ripristinato nelle sue funzioni.
Di fronte a questa minaccia, invece di aspettare gli eventi, la Francia rivoluzionaria prese l’iniziativa: il 20 aprile 1792 dichiarò guerra all’Austria, trovandosi presto contro anche la Prussia.
Da parte francese la guerra era voluta da molti. Il re e i controrivoluzionari, coscienti della disorganizzazione dell’esercito, speravano in una vittoria rapida delle monarchie europee per ripristinare in Francia la monarchia assoluta.
Giacobini e girondini invece ritenevano che la vittoria avrebbe rinsaldato l’unità del Paese e assicurato nuove risorse economiche, oltre che permesso di esportare la Rivoluzione in tutta l’Europa.
Robespierre era uno dei pochi che si opponevano a un conflitto, nel timore di una sconfitta.
L’esercito francese, del tutto impreparato a combattere poiché buona parte degli ufficiali, tutti nobili, era emigrata, non ebbe la capacità di resistere alle armate prussiane: i nemici, senza grande fatica, oltrepassarono le frontiere.
Il pericolo che si stabilisse un accordo tra le forze controrivoluzionarie francesi e gli invasori appariva imminente. La diffusa tensione provocò allora una nuova fiammata rivoluzionaria: il 10 agosto 1792 il popolo parigino attaccò il palazzo delle Tuileries, dove risiedeva il re, costringendolo a rifugiarsi presso l’Assemblea legislativa.
La monarchia costituzionale venne sospesa e fu indetta l’elezione – per la prima volta a suffragio universale – di una nuova assemblea, la Convenzione, dotata di potere legislativo e con il compito di redigere una nuova Costituzione.
Intanto le truppe nemiche marciavano inesorabilmente su Parigi e il sentimento dominante nella vita pubblica divenne la paura: della violenza popolare contro i moderati, dei complotti aristocratici contro i repubblicani.
A Parigi in effetti, a causa del panico e del rancore, i sanculotti perpetrarono terribili massacri per diversi giorni di settembre, senza che nessuna autorità intervenisse. Il sentimento della patria in pericolo si trasmise anche al fronte, tanto che il 20 settembre l’esercito volontario riuscì a sconfiggere i Prussiani nella battaglia di Valmy, sollevando il morale di tutte le truppe; di lì a poco l’esercito riuscì a occupare Nizza, la Savoia e il Belgio.
Ovunque i Francesi propagavano i loro ideali rivoluzionari, ma nello stesso tempo erano convinti che la Francia, la “Grande Nazione”, avrebbe dovuto ampliare i propri territori per conquistare le sue frontiere naturali: il Reno a nord e a est, le Alpi a sud e i Pirenei a ovest.
Le elezioni della Convenzione si svolsero poco dopo i massacri di settembre: vi partecipò solo il 30% degli aventi diritto al voto, non soltanto a causa del diffuso analfabetismo, ma anche perché molti monarchici erano stati privati del diritto di voto attraverso arresti ed espulsioni.
La scelta dei deputati venne quindi fatta da una minoranza; tuttavia, nonostante questa relativa omogeneità politico-sociale, si crearono due gruppi antagonisti, pur se entrambi repubblicani.
Nel corso della prima seduta, la Convenzione, votò all’unanimità l’abolizione della monarchia e la proclamazione della repubblica.
Ben presto montagnardi e girondini si contrapposero sulla sorte da riservare a Luigi XVI. Mentre i montagnardi volevano o giustiziarlo subito, in quanto nemico, o tutt’al più sottoporlo a un processo regolare, cui far seguire la condanna, i girondini volevano evitare il processo del re, temendo che un’eventuale condanna avrebbe potuto rianimare la controrivoluzione e rinforzare l’ostilità delle monarchie europee.
Ma la scoperta di un carteggio che documentava i rapporti del re con i nobili controrivoluzionari rese il processo inevitabile: alla fine dei dibattiti il re fu riconosciuto colpevole e condannato a morte.
Di fronte a una folla enorme il 21 gennaio 1793 Luigi XVI venne giustiziato con una nuova macchina, la ghigliottina, messa da poco a punto per rendere la morte più rapida e indolore.